I Palazzotti

Autore: Alessandro Orlandi

Con il termine “palazzotti”, ricalcato dal dialetto “palasòcc”, si fa riferimento ad una serie di tre edifici che sono ubicati all’ingresso del paese, sul lato destro della via principale che attraversa il villaggio, e rappresentano le prime abitazioni  di Crespi d’Adda, realizzate tra il 1877 e 1878.

Essi sono edifici a pianta rettangolare dall’aspetto molto semplice, a tre piani ed in grado di ospitare fino a dodici famiglie. I tre edifici sono in muratura mista di laterizio e ceppo d’Adda legata con malta di calce. I muri, intonacati, presentano un finto bugnato, ossia una decorazione che riproduce pietre lavorate che sporgono dalla facciata dell’edificio, in corrispondenza con il  piano terreno e presentano, inoltre, una cornice decorativa in cotto nella parte superiore in corrispondenza del sottotetto.  La facciata più estesa è scandita da cinque colonne di  finestre, in corrispondenza delle quali si aprono, sul tetto, cinque abbaini per lato. Sul prospetto minore, invece, sono presenti tre finestre per lato. Sul tetto, in corrispondenza del lato più corto, è presente un solo abbaino per lato, in corrispondenza della fascia centrale di finestre. Lo stesso stile architettonico delle palazzine è usato anche da modello per  l’Osteria  e l’Albergo.
La scelta di questo tipo di abitazione fu influenzata dai modelli contemporanei inglesi che prevedevano appunto la costruzione di palazzine dedicate alle famiglie operaie; questo tipo di abitazione era più economico da realizzare rispetto alle villette, prevedeva un maggiore sfruttamento degli spazi e la sistemazione di un maggior numero di famiglie e, di conseguenza, un maggiore numero di alloggi a parità di superficie di terreno occupata. Tuttavia  questo modello, voluto dallo stesso Cristoforo Benigno Crespi, pur essendo comune ad altre realtà industriali, non risulta quello vincente: i palazzotti si riveleranno inadeguati per garantire buone condizioni di vita ai propri inquilini e  verranno presto soppiantati dal modello delle villette. Lo stesso Silvio Crespi, figlio di Benigno, presenterà in una relazione riguardo ai mezzi per prevenire infortuni e a garantire buone condizioni di vita e salute per gli operai nel 1894 il miglior modello di alloggi per gli operai : “Il sistema di fabbricare case grandi, a più piani, capaci di contenere dieci e fino a venti famiglie: questo era un errore.  Si facevano delle caserme, non delle case, in cui il pianto dei bambini, i pettegolezzi fra donne, i rumori di ogni genere interrompono continuamente la quiete necessaria al riposo, e la vita si fa quasi in comune, con grave pericolo della moralità e della pace domestica, e la troppa vicinanza delle famiglie ingenera malumori, che finiscono in diverbi e risse. […] La casa operaia modello deve contenere una sola famiglia ed essere circondata da un piccolo orto, separata da ogni comunione con altri”. 
Le palazzine non rispondono a tali requisiti in quanto non garantiscono un’adeguata privacy alle varie famiglie che le abitano e, come scrive lo stesso Silvio Crespi, la vita si fa quasi in comune, poiché i servizi erano condivisi,  così come la cucina, una per palazzina; l’isolamento acustico è scarso  mentre l’eccessiva vicinanza tra le famiglie genera continuamente malumori che possono sfociare in diverbi o risse. Proprio per scongiurare questa evenienza, la costituzione di una palazzina veniva effettuata scegliendo le famiglie che erano legate tra loro da vincoli di amicizia o di parentela o i cui componenti appartenevano allo stesso turno di lavoro, in questo modo non si disturbavano a vicenda e veniva garantita la tranquillità del villaggio. Gli operai che risiedevano nelle palazzine pagavano un affitto annuale tra le 15 e le 25 lire, acqua e luce compresi, il che rendeva le palazzine abbastanza convenienti.

Fonti: