Il Lavatoio

Autore: Gaia Toffolo

Inizialmente, in tutti i territori della bergamasca, le donne si recavano al fiume per poter lavare i panni di tutta la famiglia e li si recavano in ogni stagione, a qualunque temperatura o condizione atmosferica, le problematiche legate al lavaggio dei panni al fiume riguardavano soprattutto la salute fisica delle donne, costrette a stare ricurve sulle ginocchia alla riva del fiume.
Per limitare le possibili conseguenze alla fatica per volere del Comune si fece erigere un lavatoio molto grazioso, la costruzione fu un’ imposizione del Comune alla famiglia Crespi, la quale in cambio ottenne la possibilità di costruire la passerella che tutt’oggi permette il passaggio tra Concesa e Crespi.
Il lavatoio costituiva un servizio in grado di migliorare la condizione di vita della donna residente a Crespi, deputata al lavaggio dei panni: era coperto, per far si che le donne fossero riparate durante il lavoro dalle condizioni atmosferiche e molto più vicino al centro abitato rispetto al fiume ( per raggiungere il quale avrebbero dovuto percorrere almeno un chilometro), le vasche permettevano inoltre alle donne di lavorare in posizione eretta e quindi più confortevole. Con l’ammodernamento tecnologico il lavaggio dei panni viene agevolato dalla presenza di acqua corrente calda, proveniente dalla centrale termica della fabbrica.
Lo stesso Cristoforo Benigno Crespi scriveva:

 “il lavatoio pubblico risparmia alle donne di fare lunga strada col peso della biancheria sul dorso o sulle braccia per recarsi al fiume, e correre il rischio di lavare nelle acque impetuose.”

Il lavatoio è un perfetto esempio di modernità del villaggio operaio di Crespi D’Adda in quanto non solo permetteva alle donne di lavare in condizioni migliori, ma permetteva loro anche di ottenere un miglior risultato in un tempo inferiore di lavoro, infatti era diviso in due parti: una utilizzata per lavare e l’altra per risciacquare i panni, nella seconda vasca entravano circa cento litri di acqua al minuto e veniva scaricata direttamente in un tombino limitrofo.
Il bucato nel passato era considerato come una sorta di rituale, non era una operazione giornaliera, ma era caratterizzata dall’utilizzo di materiali naturali per il lavaggio molto simili al sapone oppure era tipico l’utilizzo di borace, calce, soda e per i più abbienti l’aceto, i panni, principalmente vestiti bianchi e lenzuola (i vestiti utilizzati erano semplici, poiché gli abitanti del villaggio non appartenevano alla borghesia o alla classe dirigente), più avvezzi a sporcarsi, venivano avvolti in un grande lenzuolo utilizzato per il trasporto.
Inoltre oggi tutti noi siamo abituati alla comunicazione rapida grazie ai moderni mezzi tecnologici, nell’Ottocento non era così facile ed immediato comunicare con amici e parenti, soprattutto per le donne, infatti, se gli uomini di Crespi si radunavano al Dopolavoro,le donne non avevano uno specifico luogo destinato allo svago e all’aggregazione. La funzionalità del lavatoio non era quindi solo lavorativa, era un luogo che permetteva alle donne del villaggio di socializzare tanto da poter essere considerato un luogo di ritrovo. Insomma un tempo quel lavatoio era come un bar per donne, con la differenza che al posto di un bicchiere di vino tenevano in mano lenzuola e sapone.
Il lavatoio aiutò tanto le donne, quanto tolse pazienti al medico, infatti la sua costruzione giocò un ruolo fondamentale nel debellare alcune infezioni di tipo gastro-intestinale trasmesse attraverso le mani delle donne che, dopo aver lavato nelle acque sporche del fiume, non si preoccupavano di lavarle (le acque del fiume erano contaminate non solo da escrementi animali o vegetali, ma anche da escrementi umani). Attualmente il lavatoio non si trova nelle migliori condizioni possibili, i mattoni, prima di un rosso vivo, stanno perdendo la loro colorazione, i rampicanti e le erbacce hanno ormai preso possesso del lavatoio sia alla base che sul tetto di esso, l’ambiente più interno è invece ormai completamente fuori uso poichè le vasche versano in stato di degrado e abbandono.

Fonti: